Il romanzo è il primo, a quanto mi risulti, scritto da Paolo Agaraff e pubblicato nel 2003 da Pequod. Si tratta di un interessantissimo esempio dicommistione di generi come da qualche tempo ci sta allenando la letteratura fantastica e non, ed a cui alcuni scrittori nostrani si stanno entusiasticamente accostando (a partire dal grandissimo Evangelisti).
Curiosamente ed efficacemente il libro mescola verve comica con situazioni tipicamente orrorifiche tratte dal vastissimo pantheon Lovecraftiano. L’esperimento riesce perfettamente ed il romanzo scorre brillante e originale. Ambientato nella Thailandia contemporanea, il romanzo narra dell’incredibile disavventura di tre arzilli vecchietti italiani ospiti di un anonimo “resort” balneare e, loro malgrado, testimoni di antichissimi orrori tropicali. Le situazioni in cui i tre “geronto-turisti” si ficcano sono spesso paradossali e comiche ma ben si alternano con scene sature di quell’inquietudine serpeggiante tipica dei racconti di chtulhiana memoria.
L’afa, il traffico, i profumi e le passioni proprie dell’immaginario esotico di cui si ammantano le località turistiche tailandesi sono scenografia e motore per una piccola ma godibilissima storia di uomini stremati, di improbabili avventurieri e di squamosi miti ancestrali. La vicenda si regge su questi tre anzianotti turisti italici che ben incarnano le fobie, i vizi e le virtù della maggior parte degli abitantidel Belpaese. A loro poi si aggiungono dei comprimari ancora più feroci come maschere grottesche delle nostre meschinità.
L’isola, come i suoi abitanti, occhieggia invece sorniona negli intermezzi narrativi, dipingendo con pochi ma efficaci colpi forse più i luoghi della nostra mente che geografie concreti e identità certe. Gli isolani e l’orrore incombente alle volte sembrano quasi un espediente per contrapporre miti ed idealizzazioni ai concreti tratti agro-dolci dei nostri compaesani.
La conturbante materia dei sogni e degli incubi funge da contrappunto perfetto all’aspra grettezza della quotidiana realtà che ben conosciamo. Premetto di essere un lettore occasionale delle opere del “sommo diProvidence”, H.P.Lovecreaft, e dunque di avere raccolto nel tempo un sapere assolutamente superficiale sulla sua immensa quanto complessa produzione letteraria. La cosa però non solo non è d’alcun impedimento alla lettura diquesto gradevolissimo libello, anzi, mi azzarderei a dire che ne amplifica l’efficacia narrativa!!! I sottili indizi che un appassionato lovecraftiano coglierebbe immediatamente, restano invece nascosti al lettore impreparato senza per altro pregiudicare in alcun modo il climax finale del libro. I personaggi nostrani, poi, risultano davvero simpatici e, con tutte leloro idiosincrasie, riescono quasi a banalizzare l’impossibile e l’alieno con quel peculiare sarcasmo e italica ironia che ci contraddistinguono da sempre. Per questo e per molte altre ragioni, mi permetto di suggerire il breve romanzo a tutti gli appassionati di narrativa “alternativa” e fantastica quale felice intermezzo tra i tediosi cloni di letteratura fantasy-horror-scientifica che affollano pretestuosamente le nostre librerie. Imbrigliamo, almeno per un attimo, la nostra spesso ingiustificata xenofilia e cominciamo finalmente a considerare con la dovuta attenzione questi promettenti esempi italiani di autori di “genere”.
Un incoraggiante inizio, bravo Agaraff!
(Articolo a cura del Vlad)